Versatile, viva, colta, senza peli sulla lingua, Regiana Queiroz, brasiliana di São Paulo ma da diversi anni in esilio permanente europeo - esilio obbligato, come tanti suoi illustri colleghi degli anni 60 e 70 – in una mistura caoticamente positiva di lingue, culture, caratteristiche e abitudini di São Paulo, Rio de Janeiro, Parigi, Venezia e Milano ecc. – realtà e situazioni che domina senza problemi -, porta un contributo fresco, nuovo e dinamico nell’ambiente cinematografico un po’ stantio e molto penalizzato da quest’epoca di pandemia.
Figlia d’arte (la madre artista plastica), Queiroz studia Giurisprudenza per poi specializzarsi in Psicopatologia alla Facoltà di Medicina dell’Università di São Paulo. Nel 2010 completa la sua formazione alla Scuola Civica di Cinema Televisione e Nuova Media di Milano.
La sintesi di tutto ciò si evidenzia in quanto finora realizzato e progettato da Queiroz – 18 opere, tra regie, soggetti, sceneggiature, lungo, medio e cortometraggi, documentari e “fiction”. Tra cui spiccano le interviste di Qual è il tuo film d’amore preferito? (2008), il cortometraggio d’animazione dell’anno successivo, Cielo, e Billie Holiday canta per Che Guevara, lungometraggio sempre del 2009 su dubbi, incertezze, speranze e illusioni di certa gioventù milanese. La tessera fra i denti, cortometraggio del 2011 adattato da un racconto di Lygia Fagundes Telles, mostra una delicatezza di linguaggio che non tradisce lo spirito della scrittrice paulista. Così come due sceneggiature successive, una del 2017 – Heidegger, te perdoo – e l’altra del 2018 – Fukushima Mon Amour – vanno oltre la semplice citazione del cinema psico-filosofico (il primo) e della “tranche de vie” godardiana (il secondo), destreggiandosi senza difficoltà apparenti fra due scuole cinematografiche non delle più semplici ed accessibili. Senza dimenticare Laos – acronimo di Lovers and Other Strangers – che racconta e indaga le storie di sei personaggi, due psicoanalisti e una cartomante che nel dolore e nell’ironia ritrovano (forse) il senso della vita.
È nel lato politico-sociale, però, che l’analisi critica, il resoconto oggettivo, la padronanza disinvolta del linguaggio cinematografico e lo spirito – perché no? – “interventista”, partecipante, di Queiroz offrono i momenti più alti. Mi riferisco, per esempio, As Penhas (2018), realizzato con pochissimi mezzi, che affronta senza retoriche di circostanza la violenza domestica, e a Carnaval Devoto (2014), un lungometraggio documentario (strutturato come la Divina Commedia) sul Círio de Nazaré, una festa popolare religiosa di Belém, nel Pará, che arriva a estremi di alienazione di massa difficilmente immaginabili.
Da non dimenticare, poi, il recente (2021), lucido e impietoso Malebolge – dove la presenza della struttura infernale dantesca si annuncia già nel titolo - che racconta, accompagna, analizza e critica l’ascesa al potere in Brasile dell’estrema destra e del suo leader Jair Bolsonaro, paragonando con estrema efficacia situazioni e momenti di oggi a situazioni e momenti descritti da Pier Paolo Pasolini negli anni 70, nel suo ultimo Salò o le 120 Giornate di Sodoma.
Infine, una necessaria appendice: As Maconhistas (High Ladies), del 2018, è un progetto di serial differente e divertente centrato su alcune signore di mezza età alla scoperta di pregi e virtù della canapa indiana.
Claudio M. Valentinetti
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